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Blockchain e identità digitale ai tempi della sharing economy

Quale può essere il legame tra l’identità digitale e la sharing economy applicando il paradigma della blockchain.

Parafrasando il titolo del romanzo di Gabriel Garcia Marquez “L’amore ai tempi del colera”, vediamo quale potrebbe essere il legame tra l’identità digitale e la sharing economy applicando il paradigma della Blockchain.

Ogni giorno abbiamo a che fare con l’identità digitale, dai social network ai siti che si occupano del conto in banca personale, della palestra che frequentiamo, del noleggio auto, moto e biciclette piuttosto che quelli con i quali cerchiamo quale vacanza scegliere e dove alloggiare…

E’ tutto un fiorire di user e password a protezione dei nostri dati personali, dati che ci identificano in mezzo alla moltitudine, una identità digitale pubblica.

Varie ricerche sul ruolo della blockchain e delle identità digitali pubbliche, mostrano come ogni individuo abbia all’incirca una trentina di “identità digitali” sparse tra i vari fornitori di beni e/o servizi, ma spesso questi dati non sono proprio così corretti e coerenti.

Pensiamo per esempio alla differenza di veridicità tra i dati digitali che abbiamo rilasciato per aprire un account sui social network e la cura con cui apriamo le nostre identità digitali per l’apertura di un conto in Banca: di certo questi ultimi saranno quelli più veritieri, perché la legislazione obbliga l’ente che fornirà il servizio ad uno scrupoloso controllo dell’attendibilità dell’identità dei dati che affermiamo, cosa che non è altrettanto essenziale per Facebook e similari.

identità digitale e blockchain

Blockchain come tecnologia e fenomeno che unisce

Siamo ormai consapevoli che la blockchain rappresenta il nuovo paradigma di “fiducia by design” sul tema della identità digitale. La blockchain e’ un registro immutabile, a prova di attacchi informatici, facilmente consultabile, trasparente e resiliente, quindi ha tutte le prerogative perché venga eletta come Registro del valore, materiale od immateriale che sia.

Il valore immateriale di identità digitale e blockchain, su cui vorrei soffermarmi è quello dei dati anagrafici identificativi e di contatto. Non c’è ombra di dubbio: i dati digitali che ci identificano sono un valore per tutte le aziende che, utilizzandoli al meglio, potrebbero incrementare il loro business, ma mai nessuno ci ha fornito un corrispettivo.

Se noi inserissimo i nostri dati in una blockchain aperta a tutti i fornitori di servizi (pubblici o privati), questi potrebbero trarne vantaggio economico già per il solo fatto di non dover più eseguire lunghe e complesse procedure di onboarding e verifica.

D’altro canto i clienti potrebbero avere la consapevolezza (certezza) di dove siano effettivamente i loro dati digitiali, decidendo volta per volta a chi concederne l’utilizzo (quello che va sotto il nome di ” Self Sovereign Identity “).

I fornitori di servizi potrebbero restituire parte del loro risparmio ai clienti sotto forma di token digitali (criptomonete o punti da spendere come sconto) sempre sulla stessa blockchain.

Ma non solo: si creerebbe un circolo virtuoso del valore ed un “marketplace” nel quale le aziende aderenti potrebbero mettere in mostra i propri beni e servizi acquistabili dai clienti stessi. In parole povere, potrebbero guadagnarci tutti.

Sharing Economy – ecco la parola d’ordine

O economia della condivisione, che imperversa da qualche tempo e che conta un volume in rapida crescita. Da uno studio di PWC il giro d’affari nella sola Europa potrebbe arrivare a 570 miliardi di euro entro il 2025-

E’ rappresentata da quell’insieme di servizi basati sulla condivisione di: trasporti (auto, moto, biciclette), alloggi e molto altro.

Per citarne qualche esempio: “Airbnb” per gli alloggi, “Enjoy” o anche “Uber” per i trasporti., Foodora,

Ogni cliente di queste piattaforme ha una propria identità digitale; le piattaforme non “parlano” tra loro e quindi l’onboarding (acquisizione dei dati del nuovo cliente) rappresenta per i fornitori di servizi un costo e per i clienti una perdita di tempo, dovendo di fatto ripetere sempre le stesse operazioni fornendo sempre le medesime informazioni. A meno di casi particolari, i dati di base (anagrafici identificativi della persona e di recapiti) sono identici.

Identità digitale e blockchain. Cosa manca oggi?

Una legislazione che consenta ai fornitori dei servizi, -i più disparati- di offrirsi come casseforti per custodire i dati. Questi soggetti verrebbero scelti da parte degli utenti e dovrebbero assolvere a compiti gravosi (uno tra tutti l’ottemperanza al GDPR) e fornire servizi di portabilità verso altre casseforti dietro richiesta dell’utente.

Le aziende “casseforti” verrebbero remunerate da parte dei fornitori di servizi che hanno necessità di procedere all’onboarding del cliente (la validazione dei dati è “by design”) e che tramite la blockchain otterrebbero un vantaggio economico.

I clienti si riapproprierebbero della titolarità dell’identità digitale e avrebbero generici “buoni sconto” da spendere sulla stessa piattaforma. Le società interessate al dato avrebbero un ritorno economico immediato derivante dallo snellimento delle procedure di onboarding e verifica, ed avrebbero una nuova vetrina in cui esporre i loro beni e servizi.

Autore: Paolo Lusardi

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